Criptovalute

Criptovalute e dichiarazione dei redditi

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Definizione di CRIPTOVALUTA

Una criptovaluta è una valuta virtuale che, secondo la definizione di Banca d'Italia, costituisce una rappresentazione digitale di valore ed è utilizzata come mezzo di scambio o detenuta a scopo di investimento. Le criptovalute possono essere trasferite, conservate o negoziate elettronicamente, sono delle monete digitali decentralizzate create su internet e slegate dalle comuni valute a corso legale come l'euro o il dollaro. Si tratta dunque di "rappresentazioni digitali di valore" non sottoposte all'emissione, alla garanzia o al controllo da parte di banche centrali o autorità pubbliche. Si tratta di valute in genere emesse da emittenti privati che si servono di software altamente specializzati e, generalmente, di tecnologie blockchain. La loro gestione avviene di norma tramite portafogli virtuali denominati e-wallet. In genere le criptovalute sono convertibili, a cambi variabili nel tempo, in valute a corso legale, ma non vanno confuse con i sistemi di pagamento elettronici.
Strumento digitale impiegato per effettuare acquisti e vendite attraverso la crittografia, al fine di rendere sicure le transazioni, verificarle e controllare la creazione di nuova valuta, denaro, moneta virtuale.

Definizione secondo la normativa antiriciclaggio

Il legislatore con la il d.lgs. 90 del 2017 ha recepito la IV direttiva europea sull’antiriciclaggio aggiornando il decreto legislativo n. 231/2017. La definizione non ultima risulta la seguente: “rappresentazione digitale di valore non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. Si riconosce con questa definizione, alle monete virtuali, la sola funzione di “mezzo di scambio”, dandone una dimensione prettamente “monetaria”.
Con il recepimento della direttiva, il legislatore ha definito anche “i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale”, “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale”.
Successivamente, con il d.lgs n.125 del 4 ottobre 2019, in attuazione della V direttiva antiriciclaggio UE 2018/843, il nostro legislatore ha ampliato nel d.lgs. 231/2007, la definizione di valuta virtuale, con la formulazione tutt’ora in vigore: “rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. Inserendo quindi le parole “o per finalità d’investimento”, ne ha ampliato la funzione che non è solo quella di mezzo di, quanto anche quella di investimento.

Definizione secondo l’agenzia delle Entrate

Le difficoltà che incontriamo nell’inquadramento giuridico delle valute virtuali, non cambiano quando entriamo nell’ambito tributario.
L’Agenzia delle Entrate ha trattato il tema in una risoluzione, la n. 72/2016 e in alcune risposte ad interpelli.
nella risoluzione l’Agenzia delle Entrate considera le valute virtuali o criptovalute come valute estere. Posizione questa tutt’altro che condivisibile per diversi motivi. Innanzitutto il concetto di valuta straniera risulta necessariamente collegato ad un territorio, quindi ad uno Stato o gruppo di Stati. Inoltre vi è anche il fenomeno della cosiddetta “dollarizzazione”, che si verifica quando un paese decide di utilizzare come valuta ufficiale quella di un altro Paese; per esempio l’euro per lo Stato di Monaco o per il Kosovo, il Liechtenstein per il franco svizzero ed Ecuador e Panama per il dollaro statunitense. Le valute digitali non hanno tuttavia assolutamente alcun legame con un territorio, risultando per definizione a-territoriali.
Altro motivo è dato dalla definizione di valuta virtuale che è stata data dall’Unione europea nell’ambito della V direttiva antiriciclaggio, dove viene precisato che la valuta virtuale: “non possiede lo status giuridico di valuta o moneta”; la stessa cosa è ribadita anche dalla Banca Centrale Europea, la quale ha affermato che le valute virtuali “non possono qualificarsi come valute dal punto di vista dell’Unione europea”. Peraltro anche la disciplina antiriciclaggio nazionale stabilisce che le valute virtuali non risultano necessariamente collegate ad una valuta avente corso legale.

Aspetti fiscali: persone fisiche e criptovalute

Diversi sono gli interrogativi che si pongono in relazione alla disciplina fiscale delle criptovalute detenute dalle persone fisiche.

Il più rilevante risulta quello relativo all’eventuale dichiarazione delle plusvalenze realizzate, ulteriore problema è se procedere alla compilazione del quadro RW relativo al monitoraggio degli investimenti all’estero ed attività estere di natura finanziaria. L’Agenzia delle Entrate quanto alla tassazione per le persone fisiche ha specificato che “le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa”. Lasciando intendere così che le operazioni aventi per oggetto i bitcoin sono da assimilare alle valute eteree risultino esenti da tassazione ai fini irpef, laddove manchi la finalità “speculativa”. Il fatto è che l’assimilazione alle valute estere porta ad applicare tutta la disciplina prevista dagli articoli 67 e 68 del Tuir per le persone fisiche “private”. La norma ritiene espressiva di un’attività di investimento, con presunzione assoluta di legge – che non ammette prova contraria – anche il semplice prelievo delle valute estere da depositi e conti correnti.

Tale previsione viene in parte attenuata dal successivo comma 1-ter dell’art. 67, con il quale viene stabilito che le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere derivanti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che, nel periodo d’imposta in cui esse sono realizzate, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi.



Questa interpretazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, non può evidentemente, essere applicata ad un fenomeno così vivace e multiforme come sono le criptovalute; i sette giorni lavorativi continui, risultano nel mondo cripto un concetto che mal si concilia, così come mal si concilia il riferimento al cambio al 1° gennaio del periodo di riferimento e ai depositi e conti correnti, dimostrano tutta l’inadeguatezza dell’accostamento delle criptovalute alle valute estere. 

La plusvalenza (secondo la tesi dell’Agenzia delle Entrate)

Affermando con “forza” che le criptovalute non possono in alcun modo essere considerate valute estere, nel caso in cui il contribuente volesse adeguarsi all’impostazione (errata) dell’Agenzia delle Entrate, occorre fare riferimento all’articolo 67 del Tuir.
L’equiparazione delle valute virtuali alle valute estere comporta l’adozione da parte del contribuente della lettera c-ter) dell’art. 67 del Tuir: “le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e c-bis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo. Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conte corrente”. Al successivo comma 1-ter) si legge: “Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a 51645,69 (cento milioni di lire) per almeno sette giorni lavorativi continui.”
La prima verifica da effettuare è calcolare la giacenza media di ogni wallet contenente criptovalute, utilizzando il cambio alla data del primo gennaio dell’anno considerato. Nel caso uno dei wallet abbia una giacenza media di euro 51.645,69 per almeno 7 giorni consecutivi, oppure la somma delle giacenze medie dei wallet sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni, a quel punto, si dovrà procedere al calcolo della base imponibile su cui calcolare l’imposta sostitutiva del 26%.
Quando la somma della giacenza media dei wallet risulti inferiore ai limiti citati, il contribuente non risulterà sottoposto a tassazione.

Il monitoraggio fiscale

Un ulteriore aspetto che chi detiene criptovalute deve considerare è quello di verificare se è tenuto alla compilazione del quadro RW.

“Le persone fisiche, gli enti non commerciali, e le società semplici ed equiparate […..], residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere in natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia”, devono indicarli nell’apposito quadro RW della dichiarazione dei redditi.

Ora, il problema che si pone è se le criptovalute (il problema riguarda anche i token in generale) si possono considerare “attività estere di natura finanziaria”, non rientrando certamente nel concetto di “investimenti all’estero”. Se, in qualche modo, in relazione alle disposizioni sul monitoraggio fiscale, le criptovalute possono essere considerate, sotto il profilo oggettivo, attività di natura finanziaria, le problematiche si pongono rispetto alla questione territoriale, visto che, per essere soggette all’adempimento dichiarativo, deve trattarsi di “attività estere”. Le criptovalute, infatti, sono a-territoriali, non stanno né in Italia né all’estero, le criptovalute stanno sostanzialmente nella “rete”, (di fatto, nella blockchain), per la quale non esiste né il concetto di “estero” né di territorio. Nazionale.

Nonostante tutte le considerazioni, l’Agenzia delle Entrate, a partire dall’anno di imposta 2018, include le valute virtuali tra i beni che vanno dichiarati nel Modello della dichiarazione dei redditi.

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